Circolare n. 10/E del 14 maggio 2014 sui “Chiarimenti interpretativi relativi a quesiti posti dalla stampa specializzata”
Con tale circolare, l’Amministrazione Finanziaria fornisce chiarificazioni sulla tutela del contribuente dove l’Ufficio abbia richiesto somme in pendenza di giudizio erroneamente, in secondo o in giudizio di legittimità.
Nei procedimenti che hanno ad oggetto gli accertamenti esecutivi, l’Ufficio si rivale su quanto dovuto dopo la sentenza, mediante notifica al contribuente, dove lo si intima ad effettuare l'adempimento. Tale intimazione può essere sottoposta ad impugnazione, passando prima per la mediazione tributaria, laddove la controversia non superi i 20 mila euro, presentando ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale in caso di atto viziato.
La disciplina degli avvisi di accertamento esecutivo la ritroviamo nell’art. 29, comma 1, D.L. n. 78/2010. Si tratta di IRPEF, IRAP, IVA e IRES, nonché altre imposte. Gli avvisi da considerare esecutivi sono quelli emessi dal 1° ottobre 2011 e che fanno riferimento ai periodi di imposta che vanno dal 31 dicembre 2007 in poi.
In tutti questi casi, bisogna fare attenzione alle tempistiche relative all'esecutività. In questo modo il provvedimento diventa esecutorio. In base all’art. 29, lettera b), D.L. n. 78/2010, l’avviso diventa esecutivo quando decorrono sessanta giorni dall’avvenuta notifica, mentre il contribuente può effettuare l'adempimento entro i termini mobili previsti per presentare il ricorso. Ricordiamo che questo potrebbe essere oggetto di sospensione feriale dei termini di giudizio o sottoposto a condizione a causa di un'istanza di accertamento con adesione presentata.
Trascorsi i trenta giorni dalla data fissata per il pagamento, l'inadempimento del debitore diviene la base sulla quale affidare all'agente l'incarico per riscuotere le somme, a meno che non ci sia un pericolo di natura fondata per la tessa. E' però la traduzione, con cui si conclude la fase di accertamento che rende tale avviso esecutorio a tutti gli effetti.
I problemi relativi alla quantificazione del debito
Gli avvisi di accertamento determinano la scomparsa delle fasi di iscrizione a ruolo o di notifica della cartella esattoriale. Ciò determina diversi problemi relativamente alle somme da escutere, successivamente ad una sentenza di primo o secondo grado parzialmente o totalmente sfarovelole al contribuente. L'art. 68, D.Lgs. n. 546/1992, ci spiega come il tributo deve essere pagato con interessi annessi. Riprendendo la norma:
- per i 2/3 dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;
- per l’ammontare risultante dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale e, comunque, non oltre i 2/3, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;
- per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione tributaria regionale).
In merito l’art. 29, comma 1, lettera a), D.L. n. 78/2010, prevede che il contribuente-debitore debba essere informato preventivamente, e ciò accade con l'intimazione ad adempiere presente nei successivi atti che saranno notificata e con raccomandata con ricevuta di ritorno: in questa situazione, il contribuente dovrà provvedere a pagare la somma non oltre i sessanta giorni dal ricevimento della medesima.
L' Agenzia sul punto ha chiarito che può, appunto, essere impugnabile nonostante non sia presente tra gli atti che costituiscono mezzo per accedere al giudizio tributario, ex art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
L'orientamento dell'amministrazione è accettabile?
Bisogna leggere gli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546/1992. Il disposto dell’art. 12, legge n. 448/2001 che ha riscritto l’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, in base a certa dottrina, sostituirebbe il criterio dell’elencazione per materia con quello della cognizione generalizzata per materia del giudice speciale – sarebbe opportuno parlare di giurisdizione tributaria riconosciuta nella pienezza della sua individualità ed autonomia – andando ad escludere dalla cognizione di quest'ultimo le controversie che hanno ad oggetto atti di esecuzione forzata tributaria, in via successiva alla notifica della cartella esattoriale, che spettano invece al giudice ordinario.
La giurisprudenza non ha certo semplificato le cose, ma anzi, le ha peggiorate. Quest'ultima ha previsto una “necessaria” (vedi così Cassazione, sentenza n. 16776/2005) e non priva di un carattere di forte discutibilità, correlazione tra l’art. 19 e l'art. 2, in virtù del quale le mancate modifiche dell' art. 19, dopo la sua entrata in vigore risalente al 1° aprile 1996, andrebbe a ricadere sulla possibilità di individuare la serie di atti impugnabili. Tale elenco, non sarebbe, dunque, affatto tassativo in virtù dell'evolutio legis del sistema tributario odierno, a causa delle fattispecie opponibili e a causa anche del D.L. n. 203/2005, che aggiunse al comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, dopo le parole “tributi di ogni genere e specie", l'espressione "comunque denominati”.
L'art. 2 e l'art. 19 sono ontologicamente diversi e possono entrambi coesistere. L’art. 2 riguarda il riconoscimento della giurisdizione tributaria, momento successivo all’art. 19, che concerne, invece, le condizioni di proponibilità dell’azione.