Il fallimento di impresa in determinati settori è un rischio che si è concretizzato all'avvento della pandemia Covid-19, o che comunque è stato sempre più vicino a concretizzarsi. Il Portale dei Creditori ha registrato un aumento di casi in cui gli imprenditori hanno presentato un'istanza di fallimento presso i relativi tribunali e procure. A seguire, i concordati con riserva e le liquidazioni coatte amministrative. L'ISTAT ha addirittura dichiarato che il 45% delle piccole e medie aziende sono a rischio fallimento per via degli stati d'insolvenza (fonte: Il Fatto Quotidiano). Ma quali sono stati i settori d'impresa più rischiosi nel periodo tra il 2020 e oggi? E quali sono quelli attuali?
I settori a inizio 2020
Agli inizi di marzo 2020, si è stimato che il settore dei viaggi sarebbe stato quello maggiormente colpito dalla crisi economica avvenuta a seguito della pandemia. Si è parlato di un calo del 25%, il che avrebbe comportato tra il 12% e il 14% di posti di lavoro in meno. La branca del settore che avrebbe sofferto di più, stando alle stime, sarebbe stata quella relativa alle compagnie aeree. (fonti: Corriere della Sera e World Travel and Tourism Council). Ma anche i trasporti in genere avrebbero pagato un prezzo alto, e così è stato, a giudicare dalla situazione di crisi in cui versano alcune compagnie di navigazione come Cin Tirrenia.
Il Centro Studi della Federazione Italiana Pubblici Esercizi ha dichiarato che un altro settore che avrebbe rischiato il fallimento di impresa sarebbe stato quello della ristorazione, con una perdita stimata di circa 8 miliardi di euro, complici le normative sulle chiusure che hanno costretto le attività come bar e ristoranti o a chiudere o a restare attive solo con l'asporto. Stando ai suoi studi, il settore avrebbe perso più di 10 miliardi di euro entro il secondo trimestre del 2020. Tuttavia, si era anche parlato di una ripresa durante lo stesso semestre, anche se la perdita degli 8 miliardi di euro avrebbe comunque avuto luogo (fonte: Federazione Italiana Pubblici Esercizi).
I settori a fine 2020
Nel dicembre 2020, alcune previsioni erano state ipotizzate: chi avrebbe pagato maggiormente le conseguenze della crisi economica sarebbe stato il settore relativo all'organizzazione di fiere e convegni, con una perdita stimata dell'80% di fatturato. A seguire ci sarebbe stato quello relativo al cinema, con una perdita del -79%, e quello relativo ai trasporti aerei e quello alberghiero, con una perdita del -60% ciascuno. I settori della comunicazione, dell'informazione e dell'intrattenimento avrebbero perso il -59% del loro fatturato complessivo. Quello della ristorazione il -56,6% e i gestori degli aeroporti e degli autonoleggi rispettivamente il -46,7% e il -42,9%.
Il settore farmaceutico nel suo complesso, al contrario, ha riscontrato un aumento di fatturato del 24,0%. A fargli compagnia, quello relativo al commercio telematico (soprattutto per quanto riguarda l'export verso l'estero) con un +21,1% e quello relativo alla produzione di articoli a scopo igienico con un +12,8%. Il settore dedicato alla produzione di abbigliamento protettivo per la sicurezza ha guadagnato un +11,9%. Il settore alimentare dedicato alla produzione di pasta ha avuto il proprio fatturato aumentato del +7,6%. In coda, ci sono il settore alimentare relativo alla distribuzione con un +5,9% e quello del commercio al dettaglio di prodotti alimentari con un +5,8%. (fonti: Adnkronos e il sito di Cerved Group S.p.A.)
I settori nel primo semestre 2021
Nel primo semestre del 2021, la Cerved Group S.p.A. ha pubblicato un nuovo studio relativo al fallimento di impresa. In esso, sono state fatte le seguenti previsioni. Per cominciare, il settore del turismo e quello alberghiero, a dispetto della campagna vaccinale e delle riaperture, è improbabile che recupereranno molto di quanto hanno perso durante il 2020. Anzi, saranno 40 punti al di sotto dei livelli in cui erano ancor prima che scoppiasse la pandemia Covid-19. Lo stesso è stato previsto per il settore della ristorazione. Nel febbraio scorso, il 56% delle imprese dei settori in oggetto poteva ancora definirsi solvibile. Adesso, la quota è stata ridotta al 50%, o poco più.
Ma a salvarsi dal fallimento di impresa, o quantomeno a trarre maggiore profitto rispetto agli altri, potrebbero essere il settore manifatturiero e quello relativo alle costruzioni e ai servizi. Al contrario, come già accennato, le imprese che rischiano di più di rimetterci dal punto di vista finanziario, e quindi di chiudere i battenti in modo definitivo, sono le strutture alberghiere, i ristoranti e le attività correlate al settore turistico. Si parla di tassi di probabilità di default che sfiorano il 14%. Il che significa che un’impresa su sette rischia di chiudere. Nel settore delle costruzioni, un'azienda su dieci rischia di cessare la sua attività (fonti: il Sole24Ore e il sito di Cerved Group S.p.A.)
La situazione registrata a maggio 2021
Sempre la Cerved Group S.p.A., stavolta insieme a Confindustria e Intesa Sanpaolo, ha preso come campione più o meno 160.000 società di capitale italiane che hanno alle loro dipendenze tra i 10 e i 249 lavoratori, nonché un giro d’affari che risulta essere compreso tra 2 e 50. Nel nuovo rapporto della Cerved Group S.p.A., è stato messo nero su bianco che le imprese dei settori che sono stati menzionati in precedenza che rischiano di perdere più fatturato sono il 28% sul totale esaminato. Se ci riferisce solo a quelle presenti a sud, allora il numero sale a 36,5%. Per i ristoranti, si parla di un -40% sui profitti (fonte: Wall Street Italia).
Fallimento di impresa: possibili previsioni
Nonostante il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e in particolar modo il Decreto Sostegni Bis (15,4 miliardi di euro per i ristori in toto, 2 miliardi di euro per il settore agricolo, 3,3 miliardi di euro per il settore turistico), messi in atto dal governo di Mario Draghi, sembra che l'economia italiana ripartirà non prima degli inizi del 2022 (fonte: IlSole24Ore e Corriere della Sera). Le imprese che potrebbero uscire vincenti da questa sfida globale, a prescindere dal settore a cui appartengono, potrebbero essere quelle che si sono digitalizzate maggiormente. Le imprese che invece hanno avuto pochi mezzi per accelerare il loro processo di digitalizzazione potrebbero essere invece quelle che rischiano di più di chiudere.