Cessione pro solvendo
Cosa si intende con cessione di un credito pro solvendo?
Con questo tipo di cessione il cedente garantisce al cessionario il pagamento del credito assumendosi la garanzia per un eventuale inadempimento del debitore. In caso di inadempimento, infatti, il cedente dovrà corrispondere la somma al cessionario.
Con la cessione del credito pro solvendo il cedente trasferisce immediatamente al cessionario la titolarità del credito.
Il cessionario, quindi, ha diritto a trattenere le somme riscosse anche in caso di fallimento del cedente, salvo eventuale revoca dell’atto di cessione, ove ne ricorrano i presupposti.
Revocatoria fallimentare
Prendiamo, ora, in oggetto il caso in cui il soggetto cedente fallisca.
In questa ipotesi l’azione revocatoria, in quanto ammissibile, avrà ad oggetto non già i pagamenti effettuati dal cedente al cessionario ma l’atto di cessione propriamente detto.
A tal proposito, ci si è chiesto se le cessioni pro solvendo compiute dall’imprenditore insolvente debbano essere considerate mezzi normali o anormali di pagamento, ciò al fine di verificare se tale cessione di credito sia revocabile ai sensi dell’art. 67 comma 1 n. 2.
Sulla base di quanto stabilito dall’art. 67 l.f. n. 2) sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore “gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.”
Tale norma, infatti, è diretta a colpire con la sanzione dell’inefficacia relativa gli atti compiuti dall’imprenditore in violazione della par condicio creditorum stabilendo una presunzione di consapevolezza dello stato di insolvenza del cessionario nel momento che ricevere a titolo di pagamento beni diversi dal denaro o altri mezzi normali di estinzione del rapporto obbligatorio.
Si presume, quindi, che lo stesso in questo modo abbia percezione diretta della situazione di dissesto dell’imprenditore.
Al fine di risolvere l’interrogativo sopra esposto occorre, tuttavia, distinguere il caso in cui la cessione sia a titolo solutorio, ossia con la finalità di estinguere il debito tra il cedente e il cessionario, o di garanzia, cioè con lo scopo di vincolare una parte del patrimonio del cedente a garanzia del debito.
La Suprema Corte Cassazione con la recente ordinanza n. 26063/2017 ha statuito che “La cessione di credito, se effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transizioni commerciali, ed è suscettibile di revocatoria fallimentare anche se pattuita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto.”
Pertanto, nel caso di trasferimento del credito in via solutoria, la cessione è revocabile ex art. 67 comma 1 n. 2 l.f. se intervenuta nell’anno anteriore al fallimento, salvo che il cessionario provi che non conosceva lo stato di insolvenza del cedente.