Le opposizioni si distinguono in: opposizione all’esecuzione; opposizione agli atti esecutivi; opposizioni di terzi.
Le prime (artt. 615 e 616 c.p.c.) possono essere proposte dal debitore e dal terzo assoggettato alla esecuzione quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione.
Le seconde (artt. 617 e 618 c.p.c.) sono relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, alla notificazione degli stessi ed ai singoli atti esecutivi.
Le terze (artt. 619 e segg. c.p.c.) possono essere proposte da chi vuole avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati.
Come si distingue se un’opposizione è di un tipo o dell’altro. Le opposizioni all’esecuzione e quella di terzi si basano necessità di determinare “se l’esecuzione deve essere compiuta”, anche con esclusivo riferimento ai beni pignorati; le opposizioni agli atti esecutivi “come l’esecuzione deve essere compiuta”.
Nonostante le modifiche intervenute il testo dell’art. 615 c.p.c. è rimasto invariato. Permane la distinzione normativa tra l’opposizione all’esecuzione promossa prima del pignoramento (c.d. opposizione al precetto o pre-esecutiva: comma 1°) e l’opposizione all’esecuzione promossa dopo di esso (c.d. opposizione al pignoramento: comma 2°).
La prima opposizione deve essere introdotta con atto di citazione dinanzi al giudice competente ai sensi degli artt. 17, comma 1°, 27, comma 1° e 480, comma 3°, c.p.c., e la seconda da introdurre con ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione, il quale per quel tempo sarà di regola già stato designato ai sensi dell’art. 484, comma 2°, c.p.c..
Nel caso di opposizione al pignoramento, il giudice dell’esecuzione, adito per mezzo del ricorso, continua a dover fissare con decreto in calce allo stesso l’udienza di “comparizione delle parti” innanzi a sé, assegnando all’opponente un termine perentorio per la notificazione all’altra parte del ricorso e del relativo decreto (art. 615, comma 2°, c.p.c.). Dell’udienza all’uopo fissata si occupava e si occupa tutt’oggi, l’art. 185 disp. att. c.p.c., per il quale “si applicano le norme del procedimento camerale di cui agli artt. 737 e seguenti del c.p.c.”.
Varia invece sensibilmente, di contro, l’art. 616 c.p.c.. Se competente per la causa, a norma dell’art. 17, comma 1°, è il medesimo ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato adito con il ricorso, questi è chiamato a fissare un nuovo “termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163 bis, o altri se previsti, ridotti della metà”; se competente a norma dell’art. 17, comma 1°, c.p.c., è invece il giudice inferiore, il giudice dell’esecuzione provvede a rimettergli la causa, ed il termine perentorio è fissato per la riassunzione della medesima dinanzi al diverso ufficio.