Gitras era l’azienda che apparteneva a Gian Paolo Faggioli, l’ex presidente di Apindustria di Parma, poi vicepresidente dell’Unione industriali con Borri. Aveva una flotta di oltre 150 motrici, 120 semirimorchi frigoriferi ed altrettanti telonati, nonchè 50 anni di attività alle spalle, ma non ha superato la crisi.
La storia
L’anno scorso Gitras aveva chiesto la possibilità di presentare un concordato per ridurre i propri debiti. Dopo una lunga serie di rinvii ha rinunciato. A ciò è seguita la dichiarazione di fallimento. La Gitras ha spiegato la mancata presentazione della proposta di concordato. Da qui è giunta la dichiarazione di fallimento.
La Gitras spiega la mancata presentazione della proposta di concordato con la mancanza di certezza di possibili affittuari di rami aziendali, affitti che sarebbero stati una parte importante del concordato, ma anche incertezza rispetto alla possibilità di vendere alcuni beni. Il commissario giudiziale aveva chiesto la revoca del concordato, per “condotte della società debitrice ritenute passibili di rientrare nell’ambito di operatività dell’art. 173 L.F”.”, dice il decreto di fallimento del Tribunale, cioè azioni non ammesse dopo aver chiesto il concordato in bianco.
Il decreto fallimentare
Dietro il decreto di fallimento c’è stato un lungo dibattito fra Tribunale e avvocati della Gitras, che hanno cercato di evitare il crac, sostenendo che essendo stata ritirata per tempo la richiesta di pre-concordato, il giudice non poteva proclamare subito il fallimento. Ma il giudice Pietro Rogato ha respinto questa tesi, anche perché “aderendo alla tesi della Gitras, si sarebbe in presenza di una palese ipotesi di abuso dello strumento concordatario”. Il giudice ha respinto anche le ipotesi di “atti di frode” ex art. 173 sollevate dal commissario giudiziale, perché non si è arrivati ad alcuna proposta concordataria formale.
Gitras ha fallito a causa di una situazione economica di grave dissesto, con un patrimonio netto negativo di quasi 10 milioni di euro e debiti per circa 17 milioni. Nel 2012 ha perso 6,3 milioni, nel 2013 altri 5,5 milioni. La società è giunta alla fine in relazione ad “una aspettata contrazione del credito di finanziamento con conseguente riduzione della liquidità” nel corso del 2012, “tale situazione ha rappresentato un ostacolo rilevante alla proficua prosecuzione dell’attività, determinando uno stato di crisi che ha generato, a partire dall’anno in corso, un verificarsi di situazioni di insolvenza che hanno ulteriormente minato il rating riconosciuto dalle banche e di conseguenza il mantenimento delle necessarie linee di finanziamento”.