Stando a quanto ricordato ulteriormente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5419/2016, la scelta dell'imprenditore che trasferisce la sede della società all'estero, in data precedente a quella relativa al deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento, non può produrre effetti sulla giurisdizione del giudice italiano se non è accompagnato da un effettivo spostamento dell'attività operativa imprenditoriale, e del centro di gestione della stessa impresa.
Pertanto, come peraltro più volte ribadito dalla stessa giurisprudenza più recente, lo spostamento della sede all'estero non può "salvare" l'imprenditore dal fallimento in Italia.
Il caso
Stando a quanto ricostruito dai giudici della Suprema Corte, la società ricorrente aveva dedotto come motivo di ricorso la mancata applicazione dell'articolo 3 del Regolamento CE 29.05.2000 n. 1346, che prevede che "sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria".
Tuttavia, al di là della lettura stringente del tenore letterale dell'articolo sopra accennato, la Corte di Cassazione ha provveduto a fornire un'interpretazione contraria, richiamando espressamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo cui "laddove il luogo dell'amministrazione principale della società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di valori sociali nonché l'esistenza di attività di gestione degli stessi in uno stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerati elementi sufficienti a superare detta presunzione, a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, sempre in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, situato in tale altro stato membro".
Le conclusioni
Da quanto sopra ne deriva che l'azione del solo spostamento della sede della propria società in un altro Stato, ma senza accompagnare tale trasferimento a un effettivo spostamento delle attività operative e gestionali dell'impresa, non può essere ritenuto sufficiente per fondare la presunzione che il centro degli interessi principali del debitore coincida con la sede statutaria, andando in tal modo a determinare un aggravio di oneri in capo ai creditori dell'imprenditore, che dovrebbero dimostrare l'esistenza di una sede effettiva in Italia, e la sua operatività e la sua riconoscibilità (considerato che per poter procedere in tal senso occorrerà effettuare una valutazione globale degli elementi di fatto, con ciò che ne consegue sulla sfera degli obblighi dei creditori).
Pertanto, se non emergono espressi elementi che possono aiutare a consentire di ritenere che al trasferimento della sede sociale all'estero ha fatto seguito anche l'effettivo trasferimento dell'attività di impresa, e lo spostamento contemporaneo dell'attività di direzione della stessa impresa, la giurisdizione rimane al giudice italiano, che potrà così procedere - ove ne ricorrano gli altri requisiti - a dichiarare il fallimento della società.