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Fallimento anche per l'impresa che ha concordato i suoi debiti


In quale misura il concordato preventivo può causare il fallimento dell'azienda? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo capire bene la differenza fra accordo di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo. Poi passeremo a comprendere in che modo si può cadere nel fallimento d'impresa. Così da avere un quadro d'insieme approfondito capace di chiarire anche i risvolti negativi del procedimento.

Accordo di ristrutturazione dei debiti Questo particolare tipo di accordo nasce come strumento di risoluzione al fallimento azienda. Mediante l'appoggio dello strumento l'impresa cerca di limitare il proprio peso debitorio nei confronti del fisco. Per fare ciò, richiede espressamente un accordo ai creditori, i quali devono rappresentare in termini di legge fallimentare Italia almeno il 60% dei debiti insoluti complessivi. La restante parte, cioè i creditori che rappresentato il resto dei debiti, deve avere comunque una garanzia di rimborso totale del debito. Di solito questa garanzia si accompagna a una moratoria pari a 120 giorni dalla data di stipula dell'accordo o dalla scadenza del credito messo in essere dal medesimo accordo fiscale.

Concordato preventivo Un'altra soluzione atta a bloccare il fallimento impresa è conosciuto con il nome di concordato preventivo. Secondo la legge fallimentare Italia questa particolare soluzione presenta una maggiore complessità. La procedura avviata, infatti, non si discosta molto da quella di tipo fallimentare senonché cambia l'obiettivo finale. Il concordato preventivo mira al rilancio dell'impresa tramite un solerte intervento e una determinata ricerca di soluzioni. Di conseguenza, tale procedura risulta interessante non solo per combattere il fallimento d'impresa ma anche per sostenere i creditori. Per essere avviata, infatti, deve ricevere l'approvazione dei creditori che nella maggior parte dei casi sono ben disposti ad accettare.

Quando il concordato preventivo diventa fallimento La legge fallimentare Italia si pronuncia nei confronti del concordato preventivo dichiarando il fallimento ed esprimendo il giudizio sullo stesso concordato. Lo potrà fare in due modi:

  • revocando il fallimento per insussistenza dello stato di insolvenza;
  • omologando il concordato preventivo.

Secondo la legge di legittimità il diniego dell'omologazione del concordato preventivo prevede l'impugnazione del fallimento, che rende il concordato, di fatto, impossibile da proseguire in termini di legge.

La legge fallimentare in Italia La Corte di Cassazione il 14 febbraio 2022 ha stabilito che: "il debitore fallimentare nel regime di concordato preventivo omologato che si presenti comunque insolvente nei confronti dei creditori può dichiararsi fallito, indipendentemente dalla risoluzione del concordato". In termini pratici, ciò significa che l'impresa insolvente può recidere dal concordato anche prima dei tempi di risoluzione del contratto. Ma perché succede? Capita quando l'azienda nonostante l'accordo profittevole non riesce a pagare i debiti. Nel corso del tempo questi si vanno ad aggiungere ad altre spese diventando insormontabili. Inoltre, il creditore può puntare il dito riguardo la misura della proposta concordataria. Il debitore, infatti, rimane legato all'adempimento oltre il termine della risoluzione del concordato e questo mina definitivamente la capacità di assolvere ai propri debiti. Entrambe le situazioni poste in essere diventano insostenibili. E possono portare l'impresa al fallimento nonostante le interessanti prerogative di rilancio aziendale. Soprattutto se il rilancio va a cozzare con una situazione economica precaria.

Fallimento azienda, che fare? Dall'istanza di fallimento seguirà una fase istruttoria e una sentenza. In questo contesto verrà verificata la situazione patrimoniale agli atti. Ci sarà un pignoramento dei beni e un accertamento del passivo. Il pignoramento e l'accertamento serviranno per ripartire i beni, i quali devono essere venduti. Solo così l'azienda potrà ripagare i creditori. Ma possono essere i creditori stessi a dichiarare l'azienda fallita: in questo caso sono assistiti da un legale e dal Pubblico Ministero. La risoluzione finale è piuttosto complessa e deve essere seguita da avvocati e giudici, i quali saranno in grado di decretare la fine dell'impresa e ripartire le quote al fine di sostenere i creditori.


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