Legge Fallimentare

Esercizio provvisorio dell’impresa del fallito


Il mezzo più opportuno al fine di evitare che i creditori dell’impresa subiscano altri pregiudizi è proprio il fallimento seguito dall’immediata cessazione dell’impresa.

La cessazione immediata potrebbe però ripercuotersi in modo negativo verso alcuni creditori o altri soggetti. Si può pensare a situazioni che rendono sconsigliabile interrompere la produzione o a commesse ottenute dall’imprenditore fallito che già aveva provveduto alla produzione in buona parte.
La continuazione dell’attività imprenditoriale può avvenire seguendo due strade: su iniziativa del tribunale o su iniziativa del curatore. In questo caso, però, è necessario il parere del comitato dei creditori.

Quando l’esercizio provvisorio dell’azienda avviene per iniziativa del tribunale, esso è disposto con la sentenza che dichiara il fallimento. L’esercizio provvisorio può essere limitato anche a specifici rami, quando dall’interruzione possa derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori.

Quando, invece, l’esercizio provvisorio dell’impresa avviene per intervento del curatore, vediamo che, dopo l’autorizzazione del tribunale all’esercizio provvisorio, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere del comitato dei creditori, necessario, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, sebbene limitatamente a rami specifici dell’azienda, disponendone anche la durata.

 

Ai sensi dell’art. 104 il danno grave non deve necessariamente riguardare i creditori, ma la specificazione dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori, si ritiene che il danno possa riguardare anche altri soggetti i quali potranno essere tutelati solo, però, se la loro posizione non danneggia i creditori.

 

(Segue)


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