La bancarotta fraudolenta, com’è noto, è un reato fallimentare: per la configurabilità del reato, infatti, è necessario che sia intervenuta una sentenza di fallimento. Tale fattispecie delittuosa si configura quando il soggetto agente mette in atto una vera e propria frode diretta ad aggravare lo stato di insolvenza dell’impresa e a violare dunque le aspettative dei creditori.
Il tema della bancarotta fraudolenta è molto complesso ed articolato. Sulla fattispecie delittuosa in esame si è recentemente pronunciata la Suprema Corte di Cassazione che in una illuminata sentenza ha affrontato l’interessante ed importante tema della responsabilità dell’amministratore di diritto e di fatto nel caso in cui nei confronti della società dichiarata fallita si proceda penalmente per il reato di bancarotta fraudolenta. Prima di esaminare la complessa questione, diamo uno sguardo alla fattispecie delittuosa della “bancarotta fraudolenta”.
La bancarotta fraudolenta: cenni giuridici
La fattispecie delittuosa della bancarotta fraudolenta trova la propria disciplina nell’articolo 216 R.D. n. 267/1942. La norma appena citata punisce penalmente le condotte poste in essere dall’imprenditore fallito che abbia:
- "distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti" (“bancarotta patrimoniale”): tali condotte, in particolare, dovranno essere state poste in essere dall’imprenditore sia prima che durante il fallimento
- “sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” (“bancarotta documentale”): tali condotte, in particolare, dovranno essere state poste in essere prima del fallimento;
- "eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione, al fine di favorire alcuni creditori a danno di altri" (c.d. bancarotta preferenziale): tali condotte, in particolare, dovranno essere state poste in essere dall’imprenditore prima o durante la procedura fallimentare.
La bancarotta fraudolenta e la responsabilità dell’amministratore di fatto
La Suprema Corte di Cassazione si è posta il problema della eventuale estensione agli amministratori di fatto della punibilità del reato di bancarotta fraudolenta. In particolare, gli amministratori di fatto sono quei soggetti che, pur in assenza di un atto di investitura specifico ed espresso, esercitano funzioni e poteri tipici dell’amministratore di una società.
Ebbene, è possibile estendere la punibilità del reato di bancarotta fraudolenta a tali soggetti? La giurisprudenza maggioritaria è orientata a rispondere positivamente al quesito. Tale orientamento prende spunto dal dettato dell’art. 2639 c.c. che, in tema di reati societari, stabilisce che il soggetto che formalmente è investito della qualifica deve essere equiparato a colui che esercita, in maniera significativa e continuativa, i poteri della qualifica stessa. Si tratta, comunque, di un giudizio che deve essere operato sulla scorta di alcuni elementi indicativi della posizione e del ruolo esercitato dall’amministratore “di fatto”.
In particolare, nel caso specifico affrontato dalla Corte di Cassazione, l’amministratore di fatto della società fallita aveva un ruolo equiparabile a quello rivestito dall’amministratore “di diritto” poiché “era autore di ogni scelta gestionale; impartiva disposizioni ai dipendenti delle società (…) assumeva e licenziava personale di sua volontà; gestiva direttamente il settore pubblicitario, che forniva i maggiori introiti alle società”.
La bancarotta fraudolenta e la responsabilità dell’amministratore di diritto
Nel caso specifico, risponde del reato di bancarotta fraudolenta anche l’amministratore “di diritto” non soltanto per la posizione rivestita all’interno della società ma anche e soprattutto per la condotta negativa da egli concretamente posa in essere. In particolare, l’amministratore “di diritto” evitando di esercitare i poteri di gestione della società ed omettendo di controllare l’operato dell’amministratore “di fatto”, si è reso responsabile del reato di bancarotta fraudolenta.
In particolare, la stessa giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’amministratore “di dritto” risponde penalmente – in maniera oggettiva - dei reati commessi dall’amministratore “di fatto” per non aver impedito l’evento connesso alla fattispecie delittuosa. La discussione, comunque, è ben più ampia e complessa. La giurisprudenza ha infatti distinto tra la fattispecie di “bancarotta documentale per sottrazione” e “bancarotta per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili”. In questi casi, infatti, sussiste certamente la responsabilità dell’amministratore “di fatto” considerato che l’amministratore “di diritto” ha un preciso e personale obbligo di tenere e conservare le scritture contabili. Differente è, invece, l’ipotesi della bancarotta fraudolenta patrimoniale nella quale è necessario provare che l’amministratore “di diritto” era a conoscenza ed era consapevole della condotta criminosa posta in essere dall’amministratore “di fatto”.
Da quando appena descritto, deriva che la responsabilità penale dell’amministratore “di diritto” per il reato di bancarotta fraudolenta non può essere sempre automatica ma è successiva all’accertamento dell’effettiva conoscenza della condotta ovvero di un coefficiente psicologico ben preciso.